Kurt Astner su Mission impossible
(foto Anna Torretta
Allora Kurt, è stata una Mission impossible?
E’ stata dura. Ma Mission impossible era un mio sogno, anche se non ho mai pensato di poterla fare a vista o flash. In questi giorni l’aveva già ripetuta il mio amico Massimo (Farina, tra l’altro "assicuratore" di Bubu nella prima salita del triestino ndr). E c’era riuscito, in tre tentativi, anche Tomilov. Poi, la via aperta da Bubu è storia del dry tooling, e io mi trovo molto bene con lui, anche in gara porta sempre un po’ di atmosfera "giusta". Insomma ci tenevo proprio. "Volevo" uscire al primo colpo, e ho tirato fuori tutto quello che avevo per riuscirci.
Come ti sei preparato?
Quest’inverno mi sono allenato molto bene per il dry tooling, anche se ho potuto farlo solo in ambiente naturale, e non sui pannelli perché non ne avevo la possibilità. Molti che mi hanno visto arrampicare in gara, sul dry tooling, sicuramente avranno pensato: "Ma Kurt l’ha mai fatto?", e li capisco… Quando devo "guardare" una via di gara non ci capisco niente, non trovo la soluzione giusta; ma forse non è così strano: queste cose le faccio tre volte all’anno, appunto solo durante le gare…
Raccontaci di Mission
Intanto è sicuramente la via di dry tooling più dura che ho provato, e fatto, fino ad ora. Richiede una resistenza enorme, ed insieme una perfetta tecnica lungo la fessura iniziale.
Sono partito con l’idea di fare un unico tentativo. Mi sono detto: se va… bene, altrimenti torno a casa… Quando sono arrivato vicino alla grotta di Mission, e ho visto quanto strapiombava, ho pensato che per me era "buona": se posso arrampicare sto su anche mezz’ora.
Così sei partito…
Prima ha fatto un tentativo Anna (Torretta ndr), così ho visto qualche movimento, forse importante. Intanto mi sono po’ scaldato. Poi è toccato a me.
Fatti i primi dieci metri c’è un buon riposo e vedi tutta la fessura. L’ho osservata per pochi secondi, e subito dopo avevo la soluzione giusta per fare un metro dopo l’altro. Così sono arrivato circa a metà via. e mi sono scappati via i piedi! Ma una volta sola. Alla fine della fessura c’è ancora un bloccaggio molto duro per riuscire ad impugnare la piccozza di rovescio. Bene: ero stanco morto, ma sono riuscito a ri-prendermi di nuovo, mi sono girato verso il ghiaccio e ho visto che ormai ero vicino alla fine. "Kurt non mollare proprio adesso" mi ripetevo…
E poi?
Ho fatto ancora un passaggio molto duro e lì ho riposato un paio di minuti, prima di partire verso il ghiaccio. Mi serviva riprendere bene le forze sulla mano sinistra. Sì, perché per affrontare il blocco successivo occorre "chiudere" molto bene… Infatti, quando ci provo lo trovo proprio lungo, troppo lungo… e non riusco a passare. Riposo di nuovo e riprovo varie volte, ma mi mancano sempre pochi centimetri. Piano, mi ripeto. Forse riesco ad allungarmi spostando un poco la piccozza. Provo… E finalmente ho "preso" il ghiaccio! Sposto i piedi fuori nell’aria, li incastro nell’enorme stalattite, mollo l’altra picca, e sono sul ghiaccio. Che roba!
Adesso devo fare attenzione, devo andare piano e non fare un errori. Mi riprendo bene, e giro la stalattite all’intero prima di uscirne fuori. Guardo dentro: che lontani sono quei chiodi… se cadi lì, vai giù per tutto il tetto…
Arrivato all’albero della sosta non ho più neanche il fiato per dire "molla". Sono "ghisato" fin sopra la testa… ma sono contento, veramente contento!
Il grado di Mission
Il grado non è la cosa più importante per me. Questa via è uno "sballo", è perfetta in tutti i sensi. E’ un po’ come raccogliere funghi: è stata proprio una grande soddisfazione poter mettere dentro al mio libro una via come "
Qualche via di misto salita da Kurt
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